Requisito dell’età nei delitti di atti sessuali con minorenni e principio di colpevolezza
IL REQUISITO DELL’ETA’ NEI DELITTI DI ATTI SESSUALI COMPIUTI CON MINORI: TRA TUTELA DEL MINORE E VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA
Nella versione originaria del codice erano disciplinati tre soli reati inerenti il tema della violenza sessuale: il reato di violenza carnale (art. 519 c.p.), il reato di congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale (art. 520 c.p.) e il reato di atti di libidine violenti (art. 521 c.p.). Solo nel primo caso era prevista una circostanza aggravante nel caso i fatti fossero commessi in danno di una persona minorenne.
Tali disposizioni erano inserite nel titolo IX del libro II, posto a tutela della moralità pubblica e il buon costume: non rilevava la violazione della libertà della persona ex se, ma lo scandalo che seguiva a questi episodi, perché idoneo a ledere l’immagine integra dello stato autoritario.
La legge 15 febbraio 1996, n. 66 ha abrogato tali reati e ha introdotto le nuove fattispecie in tema di atti sessuali, collocandole nel libro II, titolo XII, del codice penale, posto a tutela della persona. La scelta è coerente con un sistema costituzionalmente orientato: la violenza sessuale è lesiva
innanzitutto della dignità e della libertà di autodeterminazione, valori che costituiscono il fulcro della Carta Costituzionale. Successivamente, una serie di riforme hanno modificato la normativa così introdotta, intervenendo tanto sulla struttura dei reati quanto sul trattamento sanzionatorio. Tra queste, quelle che in questa sede rilevano sono la L. 6 febbraio 2006, n. 381, sulle “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo
Internet” e la l. 1 ottobre 2012 n. 172, di ratifica della Convenzione di Lanzarote, sulla protezione 2 dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali .
Le tre novelle citate si inseriscono in un filone legislativo volto a tutelare la libertà del soggetto minore e a salvaguardare il proprio sviluppo psico-fisico. Per tale ragione l’età è un elemento essenziale nell’ambito dei delitti di violenza sessuale. Essa talvolta rileva come circostanza aggravante del reato, altre indica il discrimine tra fatto lecito e fatto penalmente rilevante.
Con specifico riguardo al tema degli atti sessuali viene in rilievo innanzitutto il delitto ex art. 609 bis c.p., secondo cui è punito da sei a dodici anni “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni” (comma 1) e (comma 2). L’art. 609 ter c.p., poi, impone l’aumento di pena di un terzo se il fatto è commesso in danno di una persona minore di diciotto anni (comma 1 n. 5), l’aumento della metà se i fatti sono commessi nei confronti di chi non ha compiuto i quattordici anni e il raddoppio di pena per i fatti compiuti in danno dei minori di anni dieci (comma 2).
Si tratta di un reato doloso comune e a forma vincolata. Risulta integrato solo in caso di costrizione, quindi quando gli atti sessuali vengono posti in essere senza il consenso di chi li subisce, e induzione, ossia quando manca il consenso o è viziato.
Il successivo art. 609 quater c.p. stabilisce, invece, che la medesima pena prevista per il reato di violenza sessuale deve essere applicata nei confronti di chiunque commette atti sessuali con soggetti che non hanno compiuto i quattordici anni di età (o i sedici anni di età in particolari ipotesi). Il secondo comma afferma che se gli stessi fatti sono commessi in danno di minori di anni sedici da determinati soggetti (ad es. genitori o tutore) con abuso dei poteri connessi alla loro posizione la pena è della reclusione fino a sei anni.
Sono, altresì, previste due circostanze aggravanti per i casi in cui l’atto sessuale con il minore di anni quattordici avviene previo scambio o promessa di altra utilità (comma 3) o la vittima abbia età inferiore ai dieci anni (comma 5).
In questo caso manca il requisito della costrizione e l’età è un elemento costitutivo del fatto.
Dal confronto tra le due disposizioni si possono trarre le seguenti conclusioni :
– In primo luogo, l’atto sessuale posto in essere senza il consenso della vittima o con il consenso “indotto” è sempre punibile;
– In secondo luogo, l’atto sessuale commesso in danno di un soggetto che non abbia compiuto i quattordici anni è sempre penalmente rilevante, anche laddove questi abbia manifestato il proprio consenso. Si tratta, infatti, di un consenso che ex lege non può essere ritenuto valido
– In terzo luogo, l’atto sessuale commesso con un soggetto di età uguale o superiore ai quattordici anni è ritenuto lecito in presenza di un valido consenso. Ciò, però, non deve trarre in inganno e indurre a ritenere che i rapporti sessuali con i soggetti che abbiano compiuto i quattordici anni siano sempre consentiti dall’ordinamento. L’art. 600 bis c.p., infatti, incrimina il reato di prostituzione minorile, che risulta integrato (anche) allorché il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.
Come è già stato illustrato, se questi fatti vengono compiuti con minori di quattordici anni, sono puniti a titolo di “atti sessuali con minorenni” aggravati (art. 609 quater comma 3 c.p.).
– Da ultimo, si è in presenza di un fatto penalmente rilevante anche quando il minore di anni sedici è indotto a prestare il consenso dall’abuso dei poteri dai soggetti elencati all’art. 609 quater comma 2 c.p.
L’art. 609 quinquies c.p., poi, incrimina chiunque compie atti sessuali in presenza di un minore di quattordici anni al fine di farla assistere (comma 1) e di chi compie la stessa condotta o le mostra materiale pedopornografico al fine di indurla a compiere o subire gli atti stessi.
L’art. 609 octies c.p. descrive il reato di violenza sessuale di gruppo e, nel richiamare l’art. 609 ter c.p., prevede gravosi aumenti di pena nel caso in cui la vittima sia minorenne.
Da ultimo, l’art. 609 undecies c.p. dispone la punibilità di chiunque adeschi un minore degli anni sedici al fine di commettere uno dei delitti precedenti, precisando che con il termine adescamento deve intendersi qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. Il reato si configura solo quando non è commesso il delitto a cui l’adescamento tende.
È infatti una norma di chiusura che anticipa oltremodo la soglia della tutela rispetto al tentativo. Infatti, per un verso la pena prevista per questo reato (da uno a tre anni di reclusione) è inferiore rispetto a quella prevista per il delitto tentato (pena prevista per il reato base diminuita della metà). Per altro verso, il tentativo è integrato laddove l’agente compia atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere il reato; tutti requisiti insussistenti nel reato di adescamento, dove risulta difficile provare il discrimen tra la lusinga lecita e quella tesa alla commissione di un reato. E ciò è tanto più vero nel caso del soggetto che lusinga un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni: come stabilire se la condotta è volta a ottenere una frequentazione consentita ovvero è propedeutica a un reato sessuale? Sul piano probatorio è una circostanza difficilmente accertabile. Con una duplice conseguenza: il rischio di processare (o, addirittura, condannare) un soggetto sulla scorta di un mero sospetto ovvero giungere a un’interpretatio abrogans della norma.
Tale requisito è interpretato in modo stringente dalla Corte di Cassazione, secondo cui anche un rapporto sessuale a cui segue il regalo di una ricarica telefonica integra il reato di cui all’art. 609 quater c.p. Non vi è alcun dubbio circa l’essenzialità del requisito dell’età in questa tipologia di delitti. Può, però, capitare che il soggetto agente compia un fatto incriminato dalle citate disposizioni versando in errore sulla reale età altrui.
A dispetto di ciò che si possa immaginare è un’ipotesi frequente nella casistica. Ciò anche a seguito dell’interpretazione estensiva della nozione di violenza sessuale a cui aderisce la Cassazione, la quale ritiene l’integrazione del reati in esame anche nel caso di cd atti sessuali dematerializzati, ossia commessi mediante strumenti telematici di comunicazione a distanza . Infatti, in particolar modo
con riferimento alle condotte perpetrate mediante gli strumenti informatici, è possibile che il minore riporti sui profili dei social network una data di nascita diversa da quella reale ovvero fornisca una risposta falsa alla domanda specifica da parte dell’interlocutore.
Occorre quindi chiedersi: quid iuris in questi casi?
L’art. 47 c.p. contiene una risposta generale alla domanda: sancisce che l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità del soggetto mentre se l’errore è colposo la punibilità non è esclusa solo quando il delitto è punibile a titolo di colpa. Dal momento che l’elemento soggettivo che integrano i delitti in esame è solo quello doloso, si dovrebbe concludere rispetto alla non punibilità del soggetto in errore sull’età, anche quando l’errore è determinato da colpa. Tuttavia la norma non è applicabile ai reati in esame, rispetto ai quali è stata introdotta una disposizione ad hoc.
In particolare, l’art. 609 sexies c.p. , così come modificato dalla l. 172/2012, stabilisce che ” salvo si tratti di errore inevitabile “.
La corte Costituzionale, con sentenza n. 322/2007 ha avallato la legittimità di tale previsione, attraverso una pronuncia costantemente richiamata dalla giurisprudenza successiva. In particolare ha affermato che la previsione corrisponde alla precisa scelta del legislatore di aggirare eventuali giustificazioni da parte del colpevole sulla non conoscenza dell’età della vittima e che, quindi, considerata l’importanza del bene giuridico tutelato, il soggetto è chiamato ad astenersi se si versa in una situazione di incertezza sull’età. Sul punto si segnala una recente pronuncia della Suprema Corte : “Cass. Pen., III Sez., n. 25266/2020”.
In questo caso la Cassazione ha ritenuto sussumibile nell’art. 609 quater la condotta di un soggetto che ha chiesto ad una persona minorenne di compiere atti sessuali, filmarli e poi inviarglieli.
Una identica disciplina è prevista dall’art. 602 quater c.p. con riferimento ai reati in danno dei minorenni elencati in nota 3.
Nella versione originaria della norma, introdotta con la l. n. 66/96, mancava il riferimento all’errore inevitabile. È stata quindi sollevata questione di legittimità costituzionale, poi dichiarata inammissibile. La Corte nell’occasione ha precisato che semmai l’incostituzionalità avrebbe potuto ravvisarsi con riguardo al mancato riferimento all’inevitabilità dell’errore. Corte Cost., Sent. 322/2007.
Dunque, allo stato, è possibile invocare l’inevitabilità dell’errore solo laddove siano stati richiesti dei documenti di identità validi sul territorio nazionale e questi si rivelino falsi.
La legislazione vigente impone brevi riflessioni, in quanto appaiono delle macroscopiche difformità tra la normativa vigente e il dettato costituzionale.
Com’è noto, l’art. 27 Cost. prevede il principio di colpevolezza, che, a seguito della sentenza n. 364/88 della Corte Costituzionale, deve essere letto nella duplice accezione di divieto di responsabilità penale per fatto altrui e responsabilità per fatto penale colpevole: il consociato può essere punito solo se versa in dolo (o in colpa). In caso contrario, la pena sarebbe inidonea ad esplicare la funzione rieducativa in quanto l’agente non sarebbe in grado di comprendere le ragioni della propria libertà personale né può essere avviato al trattamento rieducativo un soggetto che se avesse avuto contezza della reale situazione non si sarebbe determinato a commettere il reato. Una risposta conforme al principio di colpevolezza, infatti, avrebbe dovuto indurre a ritenere l’errore rilevante e quindi a escludere la responsabilità penale del soggetto agente. Soprattutto laddove si consideri che i delitti supra descritti non sono punibili a titolo di colpa. Appare, quindi, difficile spiegare la condanna per fatto doloso commesso da colui che chiede al minorenne informazioni circa l’età, ritenute vere grazie al riscontro sui profili social, e solo dopo aver avuto rassicurazioni circa l’età si è determinato a compiere gli atti sessuali.
Non paiono residuare dubbi circa la natura simbolica della disposizione. Si assiste all’ennesima strumentalizzazione del diritto penale, e, pertanto, si auspica un pronto revirement sul tema da parte dell’Organo Legislativo o, almeno, del Giudice delle Leggi.
Avv. Pasquale Cardillo Cupo – Dott.ssa Maria Libera De Santis