CORTE COSTITUZIONALE : E’ LEGITTIMA LA PREVISIONE CHE ESCLUDE IL RITO ABBREVIATO NEL CASO DEI DELITTI PUNITI CON L’ERGASTOLO. GIUDICE DELLE LEGGI POCO CORAGGIOSO ?
L’art. 1, comma 1, lettera a), della l. 12 aprile 2019, n. 33 ha introdotto il comma 1 bis dell’art. 438 bis c.p.p., che stabilisce l’Inapplicabilità del giudizio abbreviato nel caso di delitti puniti con la pena dell’ergastolo.
L’art. 5 della medesima legge ha puntualizzato che la norma è applicabile solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore.
La specificazione è di fondamentale rilevanza in quanto pone una deroga al principio del tempus regit actum, che regola l’applicabilità degli atti processuali, i quali, di norma, sono regolati dalla legge vigente al momento in cui sono posti in essere, che può essere diversa rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere l’azione delittuosa.
- Sin dall’introduzione, la disposizione ha suscitato numerosi dibattiti Dottrinali e Giurisprudenziali, in quanto appare incompatibile con i principi Costituzionali ; tra tutti, quelli di cui agli articoli 3 e 27 della Cost. Infatti, pochi mesi dopo l’entrata in vigore della legge, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale Ordinario della Spezia[1], la Corte di assise di Napoli[2] e il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Piacenza[3] hanno promosso giudizio di legittimità Costituzionale del nuovo comma 1 bis dell’art. 438 c.p.p.
- La Corte Costituzionale, prima di giungere alle proprie conclusioni, ha ripercorso le vicende storiche che hanno caratterizzato il tema del rito abbreviato in relazione ai delitti puniti con l’ergastolo.
Inizialmente, l’art. 442 comma 2 c.p.p. prevedeva che in caso di giudizio abbreviato la pena dell’ergastolo dovesse essere sostituita con la pena di anni trenta di reclusione, dunque era implicitamente ammessa la possibilità di ricorrere al giudizio abbreviato nel caso dei delitti puniti con l’ergastolo.
- Tuttavia, la norma in esame era il frutto di un cd eccesso di delega : la L. 16 febbraio 1987, n. 81, ossia la “Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale”, prevedeva solo la riduzione di un terzo della pena nel caso di scelta del rito abbreviato ; ridurre la pena dall’ergastolo a trenta anni è un criterio non contemplato dalla legge e introdotto in modo arbitrario dal Governo. Per tale ragione l’articolo 442 comma 2 c.p.p. è stato dichiarato incostituzionale con sentenza n. 176 del 1991 nella parte in cui prevedeva la diminuzione della pena fino a trenta anni nel caso di reati punibili con la pena di cui all’art. 17 c.p., perché era stato travalicato il limite stabilito dal legislatore nella legge delega. A seguito della sentenza, il giudizio abbreviato era divenuto di fatto inapplicabile ai delitti puniti con l’ergastolo.
- Successivamente, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale : il giudice rimettente riteneva ingiusto che gli imputati di delitti punibili con l’ergastolo non potessero chiedere di essere giudicati con rito abbreviato. La Corte Costituzionale, però, ritenne inammissibile la questione sul presupposto che l’impraticabilità del giudizio premiale nei casi previsti dalla norma non è di per sé irragionevole e coincide con la scelta di politica criminale dell’organo parlamentare di sanzionare in modo più aspro i delitti ritenuti di maggiore gravità.
- Nel 1999 è intervenuto il legislatore che con l’art. 30 della l. 16 dicembre 1999, n. 479, ha aggiunto un periodo al comma 2 dell’art. 442 c.p.p., stabilendo che l’opzione del diritto abbreviato avrebbe comportato la diminuzione della pena ad anni trenta per coloro i quali sarebbero stati condannati alla pena dell’ergastolo.
L’art. 7 del d.l. 23 novembre 2000, n. 341 ha precisato che ciò dovesse valere nel caso di condanna all’ergastolo senza isolamento diurno; ha, poi, individuato la pena dell’ergastolo senza isolamento diurno quale beneficio applicabile ai soggetti che avrebbero dovuto essere condannati alla pena dell’ergastolo con isolamento se avessero optato per il rito ordinario.
La disciplina è rimasta inalterata sino alla legge a l. n. 33 del 2019, e, quindi, all’introduzione del nuovo comma 1 bis dell’art. 438 bis c.p.p.
- La Corte Costituzionale, dopo aver operato tale escursus storico, ha rilevato che :
- La previsione censurata non causa disparità di trattamento laddove i casi puniti con l’ergastolo si riferiscano a condotte che già in astratto sono idonee a provocare un differente, minore, grado di disvalore (es. omicidio in un momento di attacco di ira) rispetto a quelle punite in modo meno afflittivo (ad es. omicidio nell’ambito di grandi organizzazioni criminali). Ciò in quanto la norma censurata è solo una conseguenza della pena massima dell’ergastolo stabilita in astratto dal legislatore per determinati reati ; se ciò è vero, la questione di legittimità costituzionale avrebbe dovuto essere sollevata rispetto alle fattispecie che prevedono una pena uguale per fatti diversi, non rispetto all’art. 438 bis comma 1 bis c.p.p.
- La previsione non è foriera di disparità di trattamento nemmeno laddove consente la possibilità di accedere al rito abbreviato ai soggetti imputati per reati astrattamente punibili con pene fino a trenta anni (es. omicidio del coniuge divorziato), e non a coloro che hanno commesso un fatto che causa il medesimo disvalore, ma il reato è punito con l’ergastolo (es. omicidio del coniuge in costanza di matrimonio).
Anche in questo caso la censura di legittimità avrebbe dovuto riguardare solo il trattamento sanzionatorio delle singole fattispecie incriminatrici.
- Non rileva che all’esito del dibattimento il giudice potrà riconoscere le circostanze attenuanti generiche equivalenti o prevalenti rispetto all’aggravante che comporta la pena dell’ergastolo : in una moltitudine di ipotesi il legislatore ancora l’applicabilità di un istituto alla previsione della pena massima in astratto (ad es. ad esempio le misure cautelari), da stabilire secondo il criterio sancito dall’art. 4 c.p.p., ossia tenendo conto delle sole circostanze aggravanti ad effetto speciale (e non hanno rilievo le attenuanti).
- Non è violato il principio di presunzione di non colpevolezza. Infatti, nell’ipotesi in cui caso il pubblico ministero abbia contestato in modo erroneo la circostanza aggravante comportante la pena dell’ergastolo, all’esito del dibattimento l’imputato potrà “recuperare” lo sconto di pena di cui avrebbe beneficiato se fosse stato celebrato il rito abbreviato;
- È vero che la disciplina causa la dilatazione dei tempi processuali, ma tale inconveniente deve essere bilanciato con l’interesse, da ritenersi prevalente, perseguito dal Legislatore con l’introduzione della norma, consistente nell’opportunità che i delitti più gravi vengano giudicati dalla Corte di Assise, con le piene garanzie per l’imputato e la persona offesa;
- Il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. non implica il diritto per l’imputato di accedere a tutti i riti possibili e quindi non appare leso dalla norma censurata;
- Non risultano contrasti con la disciplina sovranazionale in quanto, secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, non vi sono obblighi, da parte degli Stati membri, di prevedere delle procedure semplificate;
- Quindi, con Sent., (ud. 18-11-2020) n. 260 del 03.12.2020 (ud. 18.11.2020), il Giudice delle Leggi ha sancito la legittimità costituzionale dell’articolo censurato. In particolare, sulla scia dell’orientamento di cui alla citata sentenza del 1991, ha ribadito che rientra tra le facoltà del legislatore quella stabilire i criteri che rendono possibile (o meno) all’imputato la richiesta di essere giudicato con le forme del rito abbreviato.
Così ricostruita la complessiva vicenda, sia consentita una breve riflessione.
La decisione della Corte appare poco coraggiosa. Condividendo le censure mosse alle norme dall’Unione Camere Penale Italiane, occorre notare come la norma appaia, in realtà, attinta da più d’un profilo di incostituzionalità.
Innanzitutto, stride con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Infatti, il soggetto che commette un delitto punito in via generale e astratta con la pena dell’ergastolo non può beneficiare dello sconto di pena (ad es. morte a seguito di eversione ex art. 289 bis c.p.); al contrario, il responsabile di un reato che in concreto causa un disvalore di evento uguale o maggiore può decidere di definire il giudizio con il rito predetto (ad es. morte a seguito di sequestro di persona ex art. 605 c.p.) poiché il reato, in via astratta, è punibile con una pena inferiore.
Appare altresì violato l’articolo 27 Cost., in quanto la previsione dell’ergastolo appare incompatibile con la finalità rieducativa della pena, intesa come risocializzazione del reo o, almeno, non ulteriore desocializzazione : già la pena perpetua non appare, ex se, idonea a ottemperare la finalità prescritta dalla norma Costituzionale.
Inoltre, occorre considerare che il presupposto per la rieducazione è che il soggetto agente comprenda le motivazioni della pena subita, ma colui a cui è preclusa la possibilità di accedere al rito premiale percepirà come ingiusta – perché sproporzionata – la sanzione irrogata, specie considerando che viceversa potrà accedervi un soggetto che ha commesso un reato simile o addirittura più grave. È, dunque, auspicabile un revirement della Corte Costituzionale, ma, soprattutto del Legislatore, perché intervenga attraverso una riforma organica rispettosa dei principi costituzionali.
Avv. Pasquale Cardillo Cupo, Dott.ssa Marialibera De Santis
[1] con ordinanza del 6 novembre 2019.
[2] con ordinanza del 5 febbraio 2020.
[3] con ordinanza del 16 luglio 2020.